A mio padre, operaio
L’opera Il sogno di una cosa è nata dal personale desiderio di ricordare dopo quarant’anni con un forte atto di memoria collettiva ciò che di terribile accadde quel giorno in Piazza della Loggia, quell’atto vigliacco, criminale, quella distruzione della vita che segnò indelebilmente la coscienza di una città, la mia città. È divenuta in breve tempo un’opera corale, grazie al prezioso e lungo lavoro svolto con Marco Baliani e Alina Marazzi. In quest’opera la parola, il suono, i corpi e le immagini creano una polifonia di linguaggi che caratterizza la nostra “ricomposizione dell’infranto”, la nostra richiesta di non dimenticare, di ricominciare. Formalmente l’opera procede attraverso differenti quadri scenici in cui si focalizzano tematiche e domande, senza costruire un racconto lineare. La musica segue questa architettura drammaturgica cristallizzando l’emozione per scarti improvvisi, per contrasti, attraverso la rilettura di registri linguistici diversi tipici degli anni settanta: dalla musica d’avanguardia al rock progressive, dal free jazz, alla canzone popolare. Questi linguaggi entrano talvolta in collisione con squarci corali, in cui evidente è il riferimento al grande madrigalista bresciano del cinquecento Luca Marenzio. L’obiettivo di questa eterogenea ma rigorosa partitura (dal punto di vista armonico e timbrico vi è un controllo assoluto dei materiali che convergono tutti in una serie di spettri armonici fondamentali) è quella di amplificare una drammaturgia creata da azioni sceniche cantate, danzate, recitate con immagini proiettate su mutevoli superfici. Grazie alla coraggiosa partecipazione dei soggetti produttori, della Casa della Memoria e di altri singoli cittadini, quest’opera si è potuta realizzare, il loro sostegno e le loro testimonianze sono stati preziosi, uno stimolo continuo a migliorare il lavoro, a loro rivolgo la mia più sincera gratitudine.
Mauro Montalbetti