Per riuscire a narrare della Grande Storia avevamo bisogno di piccole storie, di umanità minute, concrete, che facessero riverberare nei loro conflitti il conflitto più grande, quel pezzo di Storia che segna una delle tappe costitutive di un sogno repubblicano ancora oggi tutto da ultimare.
La drammaturgia allora si fa carico di tenere insieme una dimensione corale, epica, di movimenti scenici di largo respiro, con improvvisi “squarci di dramma” dove i corpi narranti del coro divengono di colpo personaggi con una loro lingua, psicologia, storia, per poi subito dismettere quei panni e quei dialoghi serrati per ritornare a fondersi nella dimensione collettiva della coralità.
Per ciò che riguarda la parola corporea dello spettacolo, il farsi voce degli attori, la dimensione epica dello spettacolo permette una continua osmosi tra parole testuali diverse, alla ricerca di una drammaturgia narrativa che pur mostrando la forza del qui e ora del dramma tradizionale, declinandolo in frammenti spezzati, concisi e serrati, rivendica il superamento della dimensione puramente dialogico-drammatica, in un territorio postdrammatico, mostrando un insieme di altre possibilità espressive, personaggi che si staccano dalla vicenda e di colpo narrano in terza persona, arrivando a poter rammemorare perfino la propria morte, oppure ancora racconti a più voci, montaggi corali di frammenti storici di lettere, dispacci, comunicati, o ancora melologhi, poesie dette in musica, informazioni.
Maria Maglietta