Pochissimo ho scritto di questo mio viaggio in Africa, ho scattato poche immagini. È come se il respiro grande del cielo africano, quell’orizzonte allargato, sfuggissero alla possibilità di essere catturati, fissati in una pagina scritta, o in una fotografia. O forse un viaggio lo si racconta quando è terminato e si ritorna a casa. Mi sento ancora nel mezzo della traversata, straniera io, in questo gruppo di ragazzi, con parole e strutture di pensiero che non servono qui con loro più di tanto e con la necessità di reinventarsi in un’urgenza di comunicazione.
I miei sensi sono aperti, pronti a catturare ogni cosa, odori, suoni, gesti, espressioni. Dopo un po’ se si parla meno si vede e si sente di più. Tutto quello che nel lavoro viene proposto, viene assorbito, a volte gioiosamente trasformato, diventa alfabeto comune. In questo andare, la disponibilità al cambiamento è preziosa compagna di viaggio.
E se Pinocchio narra di una trasformazione possibile, forse anche noi tutti, alla fine del viaggio, riusciremo a raccontare la nostra.