Sono arrivato a Nairobi di notte, con l’impressione di sentire scalpitare Pinocchio chiuso dentro la valigia, preda della stessa mia eccitazione.
L’ho costruito io quel burattino, di cui sono geloso e possessivo, ma emozionato come Geppetto, che accompagna il suo figliolo a un incontro importante! questa sensazione si è materializzata quando mi sono trovato davanti al gruppo di ragazzi di Dagoretti e aprendo la valigia per mostrare il burattino, è stato come avere davanti tanti Pinocchietti, stessi occhi sgranati, sempre affamati di cibo, curiosi di tutto. Si sono guardati e la magra ed allampanata figura di Pinocchio è diventata un altro membro del gruppo. È passato di mano in mano, è stato toccato, soppesato, esplorato in ogni sua singola parte con amore e una delicatezza inaspettate. È stata questa delicatezza che mi ha fatto decidere di lasciare il burattino ai ragazzi. Mi sono vestito da Geppetto, ho mostrato loro la costruzione di Pinocchio, parlando delle tecniche di animazione, dello straniamento dell’animatore, del suo rendersi “neutro”, “invisibile”, di come la sua energia “dia la vita” alla materia, che diventa magicamente viva.
Una notte abbiamo fatto un gran fuoco in giardino, e mi sono reso conto che gli era congenitamente familiare, le mani che lo muovevano erano le mani di Pinocchio, il movimento era il suo, era lui ma non lo capivo più, mentre parlava swahili e tutti ridevano…