La cultura non può essere inscatolata.
E invece ogni giorno questa parola viene etichettata, definita, recintata, come se fosse una merce su uno degli infiniti scaffali del consumismo dove ogni cosa per esistere ha un prezzo.
Così la parola cultura viene declinata a seconda del comparto dove è stata ristretta e circoscritta. Cultura dello spettacolo, dello sport, del turismo etc… oppure relegata dentro il palinsesto di un’emittente televisiva, in una fascia oraria, di solito penalizzante. E poi via con i sottoprodotti, la cultura dell’opera lirica diversamente definita da quella dello spettacolo dal vivo.
Ancora si discetta stancamente della differenza tra cultura alta e cultura bassa, dell’esistenza o meno di una cultura popolare.
C’è poi il culturismo o cultura fisica dove il corpo è sottoposto a uno stress costante per aumentarne le prestazioni in termini di massa muscolare. Un corpo specializzato. Creando specializzazioni scientifiche che si occupano del comparto fegato piuttosto che di quello esofageo. E che hanno perso consapevolezza della unitarietà e complessità che il corpo umano possiede e manifesta.
Questa parcellizzazione della parola “cultura” rispecchia una società delle merci e del consumo, dove ogni oggetto può essere scomposto e spezzettato in modo da avere un suo comparto economico dove può essere valutato in termini di offerta e domanda. Si è perso il linguaggio per poter farsi carico della multiformità dell’esistente, e della sua complessità.
La cultura è la fucina ove si dovrebbe impastare e apprendere questo linguaggio, anzi è l’insieme dei linguaggi che formano una società. Avviene e cresce cultura quando il cittadino, non più consumatore, è capace di stare in ascolto. Con curiosità e stupore. Capace di ascoltare il sapere di un idraulico con lo stesso entusiasmo conoscitivo con cui può ascoltare il sapere di un filosofo, ascoltare le diversità di esperienze, per nutrirsene e farle proprie, diversità geografiche, etniche, religiose. Ascoltare è l’inizio di un processo culturale semplice, alla portata di tutti, è da lì che poi si passa al dialogo, al racconto, allo scambio.
Ma per far crescere ascolto e dialogo servono luoghi, spazi e tempi ove condividere le esperienze. La cultura è coltivazione di dialoghi, inseminazione dialettica, discorso, confronto, e permea o dovrebbe permeare tutti gli ambiti della conoscenza del sapere ma anche del sentire, dall’indagine del reale all’investigazione immaginifica.
Le forme discorsive della cultura sono alla base di un’educazione che si propone di valorizzare l’allievo, il bambino, lo studente, come essere vivente complesso e aperto a continue sollecitazioni, scoperte, meraviglie. È la cultura che permette di percepire la bellezza e di rifiutare la volgarità. Non è appannaggio di élite o di specialistiche congreghe. Quando lo diventa quel tipo di cultura serve solo ad acquisire potere attraverso linguaggi specialistici che recintano uno spazio di relazione privilegiata. Una forma di controllo.
Per questo la cultura non può essere appannaggio di un Ministero, quello è solo un altro modo per controllarne gli esiti e delimitarne la portata. Non è la politica a governare la cultura ma l’esatto contrario, il cittadino produttore di cultura è creatore di polis, di comunità, di cittadinanza, a cui è orgoglioso di appartenere e di cui sente responsabilità. E quindi è la cultura a determinare la politica e le sue scelte. L’esatto contrario di quello che accade in queste nostre oligarchie occidentali mascherate da democrazia.
Se tutto questo accade è perché da tempo i linguaggi di una cultura, quelli con cui una società si esprime, e in cui si riconosce, sono stati soppiantati da un unico uniforme linguaggio, quello economico, che tutto misura in termini di resa, costi, profitto. Sradicare questo linguaggio onnicomprensivo e onnivoro è la lotta politica che occorre svolgere in tutti i campi del sapere e del vivere. Così magari un giorno i telegiornali della sera invece di terminare con le quotazioni delle borse potrebbero terminare con la poesia di un poeta, o con una fiaba, o con l’incipit di un romanzo.