testo e regia Marco Baliani
da un’idea di Velia Papa
con Petra Valentini e Michele Maccaroni – Eleonora Greco e Giacomo Lilliù
scenografia e luci Lucio Diana
costumi Stefania Cempini
produzione Marche Teatro
Chi siete là dentro? Che ci fate?
Certo, siete attori. O almeno un tempo lo eravate
Ma attori chiusi dentro una teca di cristallo da cui non potete uscire.
Siete una specie in via di estinzione.
È una dimensione molto netta e molto dura.
Dalla vostra memoria di attori emergono lacerti di teatro che non hanno nessun rapporto tra loro oppure che si agganciano uno all’altro solo per un’assonanza di suoni, o di parole, o per un gesto che ne richiama un altro
Una coazione a ripetere. Il nastro di Krapp che scorre siete voi. Siete il nastro, non Krapp.
La vostra memoria è a intermittenza. Memorie teatrali di quando, un tempo, eravate in scena.
È un soliloquio. Non dovete raggiungere nessuno e non dovete rivolgervi a nessuno. Non ci saranno applausi.
La vostra vita personale come esseri umani non interessa.
Però a tratti viene fuori senza che voi ne siate coscienti.
Potrebbero perfino esserci ricordi. Ma come un’intromissione improvvisa, priva di rapporto con il resto. Priva di rapporto con voi lì dentro.
Potrebbero esserci brani di testo a due, ma dove l’altro non c’è.
Non si può fare teatro senza gli altri.
Non c’è da gridare. Né da recitare, quelli che stanno fuori sentono la vostra voce attraverso delle cuffie.
È una voce radiofonica.
Potrebbero ascoltare voi e guardare un altro attore.
Oppure ascoltare voi e guardare il cielo o qualsiasi altra cosa.
Ma voi siete comunque sempre esposti.
Siete testimoni della povertà della vostra vita da attori, in una società che non ha bisogno del teatro.
Non dovete suscitare compatimento e, da parte vostra, non deve esserci compiacimento.
La vostra esistenza lì dentro è un eterno loop. Non c’è fine e non c’è inizio.
C’è solo un tempo uniforme, coatto, senza divenire.
Queste sono le indicazioni che ho dato ai quattro attori e attrici che dal 15 giugno, sulla piazza antistante il Teatro delle Muse di Ancona, saranno reclusi dentro due teche di plexiglass, a portare avanti un “nastro di memorie”, per ciascuno diverso. Io e Velia Papa abbiamo pensato che aprire il teatro il 15 giugno non significasse solo trovare qualche escamotage per riproporre il teatro di prima, ma che, non potendo esserci davvero un ritorno alla normalità, come tutti sbandierano illudendosi, avevamo il compito di creare una drammaturgia nuova, capace di mettere il dito nei nervi scoperti del periodo storico che stiamo attraversando. “L’attore nella casa di cristallo” è una potente metafora che tocca da vicino il nostro disastrato sentire.
Marco Baliani
L’ATTORE NELLA CASA DI CRISTALLO
Il teatro è stato abolito così come ogni attività che non produca immediati profitti. Il Partito che, con salda fermezza, governa il Paese crede che la cultura sia un’inutile e costosa perdita di tempo. Si promuove, invece, un sano divertimento fatto di slot machine, videogiochi, scommesse, karaoke, ragazze in vetrina, combattimenti di galli, corse con le auto di notte a fari spenti e altri svaghi capaci di contribuire alla crescita del Prodotto Interno Lordo.
Nel Paese, da tempo, è stato vietato lo studio della letteratura, dell’arte e della poesia (il teatro non era stato mai contemplato nell’ambito della cosiddetta cultura). Anche se, per essere precisi, la prima materia ad essere cancellata è stata la Storia. Una misura divenuta subito molto popolare, decisiva per la definitiva affermazione del Partito al potere.
I teatri esistono ancora ma sono stati trasformati in centri commerciali.
Platea e palcoscenico sono stati conservati per accogliere consumatori festanti e rutilanti show in cui si esibiscono soubrette scarsamente vestite e presentatori sovraeccitati intenti a decantare le doti di robot domestici di ultima generazione, offrendoli all’asta a prezzi stracciati.
Gli attori sono dei paria, ridotti, ormai, alla fame.
Se tentano uno spettacolino in strada per raccogliere qualche moneta, possono essere fermati e rinchiusi nelle Case di Cristallo che impediscono contatti ravvicinati con quello che un tempo era il pubblico.
Sono esposti come esseri in via di estinzione.
Ciascuno di loro, lì dentro si ostina a ripetere brani di testi, pescando, da una malridotta memoria, frammenti di esistenze, vissute o immaginarie, senza soluzione di continuità. Non può vedere né sentire chi lo guarda, il quale a sua volta se vuole ascoltare ciò che esce dalla bocca dell’attore può avvalersi di un auricolare. Ma naturalmente per accedervi verrà schedato e identificato. Assistere diviene dunque un atto quasi eroico.