Corpo Narrante – Marco Baliani https://www.marcobaliani.it Fri, 21 Jun 2024 10:11:59 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 CORPO ERETICO https://www.marcobaliani.it/corpo-eretico/ https://www.marcobaliani.it/corpo-eretico/#respond Tue, 18 Oct 2022 03:50:24 +0000 https://www.marcobaliani.it/il-matrimonio-segreto-2/ Dialogo in tempo presente con Pier Paolo Pasolini

di e con Marco Baliani

organizzazione e promozione Ilenia Carrone

produzione Casa degli Alfieri Soc. Coop. 

 

Anteprime:

– 24 ottobre 2022, DamsLab Teatro / Bologna

– 20 novembre 2022, Sala degli Specchi del Teatro Valli, Reggio Emilia

 

Debutto:

– 3/4 dicembre 2022, Teatro Ciro Menotti, Milano

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Un dialogo serrato, spietatamente sincero, a tentare di sgomitolare quei grovigli che, ogni volta che l’ho incontrato, mi hanno lasciato inquieto. Contrasti e contraddizioni mai risolti, e che generano invece altri ingarbugliamenti necessari a vedere le “cose” del mondo da angolazioni inaspettate.

Sono tante le “cose” su cui dialogare con lui, sulle mutazioni sociali avvenute, su quello che ha intuito e quello che ha travisato, sul  suo corpo “diverso”, sempre al centro del suo agire, scandalosamente in contrasto col mondo intorno, sulla sua mai esausta vena pedagogica, sui suoi scritti pirateschi, sul suo giornalismo anomalo.

Ma l’elenco non serve, e poi è lungo, variegato, multiforme, imprendibile come lo è lui nella sua continua ricerca di linguaggi che sappiano parlare il suo tempo, spesso non coincidente con quello della società.

Nella sua dissipazione mi ritrovo, sono sempre stato in fuga da recinti e classificazioni, così posso inserirmi con la mia storia e le mie contraddizioni, a intrecciare altre matasse di pensieri e immagini.

Inaspettato sarà l’incontro con lui, senza rete di protezione, mi occorre andare ramingo, toccando le scabrosità dei nostri corpi mai sazi, non so quali sono le parole che spunteranno dai nostri sguardi mai appagati, ma prevedo durezza, un dialogare che è anche un duellare.

La sua voce mi arriva tra capo e  collo, come un avvertimento, uno stare in guardia, e si riverbera illuminando di una luce obliqua, caravaggesca, questo mio presente paludoso, dato che il tempo non fila mica dritto su una linea come si crede nel nostro Occidente, è invece un anello che si espande in cerchi concentrici, e ogni istante dell’Allora può divenire benissimo un attimo dell’Adesso

Nel mio lavoro ho sempre amato personaggi “non riconciliati”, fuori dalla norma, grandiosamente vittime della loro diversità. Con lui mi trovo dunque in sintonia, una sintonia provvisoria e inquietante come chi cammina sull’orlo di un precipizio ed è meglio non si appoggi al compagno di percorso nel difficile illusorio tentativo di restare in equilibrio.

La sua eresia, così vitale, mi costringe a stare  in ascolto, con lo spavento delle scoperte inattese, per vedere, alla fine, cosa mi resta tra le dita, di raccontabile e tramandabile col mio teatro e la mia voce.  

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IL SOGNO DI UNA COSA https://www.marcobaliani.it/il-sogno-di-una-cosa-2/ https://www.marcobaliani.it/il-sogno-di-una-cosa-2/#respond Sat, 20 Aug 2022 10:00:18 +0000 https://www.marcobaliani.it/opposti-flussi-2/ Spettacolo ispirato all’omonimo romanzo di Pier Paolo Pasolini

di e con Marco Baliani

Musiche dal vivo con
Leo Virgili chitarra elettrica e trombone
Gabriele Cancelli tromba
Walter Grison sax
Andrea Medeot contrabbasso
Marco D’Orlando percussioni

Progjet Colonos
in collaborazione con il Comune di San Vito al Tagliamento

 

Un grande racconto, una narrazione orale che trasforma la scrittura dando vita alle parole con la voce e con il corpo. È questo che vorrei compiere a partire dal romanzo di Pasolini, un’epopea friulana che si snoda come un arazzo, in quella manciata di anni a ridosso di una guerra che ha lasciato sul campo un inesausto desiderio di giustizia. Voglio riuscire a rispettare la visione pasoliniana di questi corpi giovani, corpi che anticipano quelli delle borgate romane dei romanzi successivi. Qui, quei corpi sono ancora intrisi di stupore, la terra, la dimensione contadina, la lingua friulana, i luoghi, le piazze, i nomi dei paesi, ancora non sono stati lacerati dalla frenesia della ricostruzione del dopoguerra e dall’inizio della industrializzazione, e appaiono ancora come portatori di un possibile sogno. I loro sogni non resisteranno al dopo, al futuro che incombe ma, colti in questo esemplare momento di transizione della vita, riverberano ancora tutta la potenza della speranza giovanile in un cambiamento prossimo venturo. (Marco Baliani)

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UNA NOTTE SBAGLIATA https://www.marcobaliani.it/una-notte-sbagliata/ https://www.marcobaliani.it/una-notte-sbagliata/#respond Sun, 09 Jun 2019 13:34:35 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=2695

di e con Marco Baliani

regia Maria Maglietta

scene, luci, video Lucio Diana

paesaggi sonori Mirto Baliani

costumi Stefania Cempini

disegni Marco Baliani

produzione Marche Teatro

direttore di produzione Marta Morico

organizzazione, distribuzione Alessandro Gaggiotti

distribuzione Ilenia Carrone

assistente di produzione Claudia Meloncelli

direzione tecnica allestimento Mauro Marasà, Roberto Bivona

allestimento tecnico Jacopo Pace

direttore di scena Cosimo Maggini

fonico Federico Occhiodoro

comunicazione, ufficio stampa Beatrice Giongo

grafica esecutiva Fabio Leone

foto di scena Marco Parollo

In questo spettacolo porto in scena il corpo di un essere umano già fragile, corpo che in quella notte che, poi, solo dopo chiameremo sbagliata, diventa un capro espiatorio su cui accanirsi. Entrare e uscire dalle teste e dai corpi dei protagonisti notturni della vicenda, compreso un cane, è stata la mia gimkana attorale, obbligandomi a continui cambi percettivi e linguistici, dentro una rete di rimandi sonori e visivi.

Già nel precedente spettacolo, Trincea, avevo sperimentato una condizione attorale simile. Qui la ricerca è proseguita, specie nella costruzione del linguaggio, fino a uscire dal contesto narrativo centrale e aprire il flusso delle parole ad altri scenari, in un “arazzo psichico” che sposta di continuo il focus della vicenda, costringendo lo spettatore non solo a viverla emotivamente ma a farsene carico anche ragionandoci sopra.

Non è la cronaca di uno dei tanti episodi di accanimento contro la diversità, di cui sempre più spesso siamo testimoni, non è dunque un teatro “civile”, piuttosto un mettere il dito dentro le pieghe nascoste della psiche, delle pulsioni, delle indicibilità, fino a usare la mia stessa memoria   biografica come parte dell’evento di cui si parla. Mi sembra di vivere in un tempo in cui la sacralità del vivente, la sua inviolabilità biologica si è incrinata e compromessa. Forse quando da cittadini siamo diventati consumatori qualcosa di quella inviolabilità si è dissolta. I corpi sono diventati merce, e devono rispondere agli stessi requisiti di efficienza e di splendore delle altre merci, altrimenti entrano nella categoria dei perdenti, degli scarti.

Corpi “stranieri”, da cui guardarsi, che con la loro sola presenza incrinano la falsa luminosità del quotidiano, corpi da cacciare via, da odiare, di cui si può dunque abusare.

Questa deriva mi spaventa molto, mi inquieta, e il teatro è l’unico modo che conosco per condividere questa mia inquietudine con la comunità degli spettatori e sentirmi così meno solo e meno impaurito.

***

Dopo il successo dello spettacolo Trincea, vorrei sperimentare un’altra tappa di ricerca di quello che mi piace chiamare teatro di post-narrazione. Una narrazione dove il linguaggio orale del racconto non riesce più a dispiegarsi in un andamento lineare, ma si frantuma, produce loop verbali in cui il Tempo oscilla, senza obbligati nessi temporali.

Flussi di parole che prendono strade divaricanti mentre cercano disperatamente di circoscrivere l’accadimento di quella “notte sbagliata”. Quella manciata di minuti, chè tanto durerebbe nel Reale il puro accadere dell’evento, si amplifica e diviene big bang di quell’universo di periferia, si espande nelle teste dei partecipanti all’evento, compreso il cane, risucchiando come un buco nero anche chi non è lì su quel pratone d’erba polverosa, ma vicino ai cuori e alle coscienze di chi sta agendo.

Un turbine linguistico sostenuto da un corpo che agisce l’evento in maniera performativa, un corpo che si metamorfizza a mano a mano che l’azione prosegue, con gesti che richiamano le esperienze della body art degli anni Settanta, marchiando il corpo come fosse la tela dove l’Assurdo si mostra pienamente, al di là perfino delle parole.

Penso che oggi la sfida che il teatro deve affrontare stia tutta nel montaggio drammaturgico, che tenga conto delle nuove percezioni con cui viene veicolata la realtà, forme comunicative con cui il teatro deve misurarsi scompaginandone gli statuti. E questo non può che avvenire attraverso visioni performative, non lineari, dove il dramma viene spezzato da incursioni continue, dove l’oralità dispersiva della voce prevalga sulla linearità della scrittura scenica.

Marco Baliani

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KOHLHAAS https://www.marcobaliani.it/kohlhaas/ https://www.marcobaliani.it/kohlhaas/#respond Fri, 30 Mar 2018 17:55:57 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=782

di Marco Baliani e Remo Rostagno

dal racconto “Michele Kohlhaas” di H. von Kleist

attore narrante Marco Baliani

regia Maria Maglietta

produzione Trickster Teatro


La storia di Kohlhaas è un fatto di cronaca realmente accaduto nella Germania del 1500, scritto da Heinrich von Kleist in pagine memorabili.

Nel mio racconto orale è come se avessi aggiunto allo scheletro osseo riconoscibile della struttura del racconto di Kleist, nervi muscoli e pelle che provengono non più dall’autore originario ma dalla mia esperienza, teatrale e narrativa, dal mio mondo di visioni e di poetica.

Così ad esempio tutta la metafora sul cerchio del cuore paragonato al cerchio del recinto dei cavalli, che torna più volte nella narrazione, come luogo simbolico di un senso della giustizia umanissimo e concreto, è una mia invenzione, nel senso etimologico del termine, qualcosa che ho trovato a forza di cercare una mia adesione al racconto di Kleist.

Così via via il testo originale si è come andato perdendo e ne nasceva un altro, un work in progress alla prova di spettatori sempre diversi, anno dopo anno, in spazi teatrali e non, secondo un procedimento di crescita che ai miei occhi appare come qualcosa di organico, come mi si formasse tra le mani un organismo vivente sempre più ricco e differenziato.

Accade nell’arte del racconto orale che per cercare personaggi interiori occorra compiere lunghi percorsi, passare attraverso storie di altre storie, sentirsi stranieri in questo mondo dopo aver tanto peregrinato, fino a trovare quel punto incandescente capace di generare a sua volta nell’ascoltatore un mondo di visioni, non necessariamente coincidenti con le mie.

L’arte sta nel non nominare troppo, nel cogliere il cuore di un’esperienza con pochi tratti lasciando molto in ombra, molto ancora da compiersi.

Kohlhaas è la storia di un sopruso che, non risolto attraverso le vie del diritto, genera una spirale di violenze sempre più incontrollabili, ma sempre in nome di un ideale di giustizia naturale e terrena, fino a che il conflitto generatore dell’intera vicenda, cos’è la giustizia e fino a che punto in nome della giustizia si può diventare giustizieri, non si risolve tragicamente lasciando intorno alla figura del protagonista una ambigua aura di possibile eroe del suo tempo.

Le domande morali che la vicenda solleva e lascia sospese, mi sembrarono, quando cominciai ad affrontare l’impresa memorabile del racconto, un modo per parlare degli anni ’70, per parlare di quei conflitti in cui venne a trovarsi la mia generazione, quella del ’68, quando in nome di un superiore ideale di giustizia sociale si arrivò a insanguinare piazze e città.

In fondo, a voler rivedere all’indietro il mio percorso artistico, senza Kohlhaas non sarei arrivato a raccontare Corpo di Stato, racconto teatrale andato in onda in diretta televisiva la notte del 9 maggio, vent’anni dopo la morte di Moro, a poter ritrovare i medesimi conflitti, riuscendo questa volta a parlarne dall’interno, come soggetto coinvolto nei fatti narrati.

Un tema antico dunque, tragico nella tradizione e nella forma, che continua a catturarmi, perché il narratore non può che narrare ciò che epicamente lo coinvolge nell’intera sua persona, a me succede così: non potrei raccontare qualsiasi cosa.

Marco Baliani

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CORPO DI STATO https://www.marcobaliani.it/corpo-di-stato/ Sun, 25 Mar 2018 09:08:07 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=610

Corpo di Stato_sito

IL DELITTO MORO: UNA GENERAZIONE DIVISA

 

di e con Marco Baliani

drammaturgia e regia Maria Maglietta

collaborazione drammaturgica Alessandra Rossi Ghiglione

montaggio video Michele Buri

ricerca iconografica Eugenio Barbera

produttore esecutivo Maurizio Agostinetto

direzione tecnica Massimo Colaianni

una produzione Casa degli Alfieri, Trickster Teatro

trasmesso per la prima volta in diretta su Rai2 il 9 maggio 1998 dai Fori Imperiali di Roma, in occasione del ventennale dalla morte di Aldo Moro

Quanto a lui, bisognava che l’ascoltassero perché credesse alla propria vita. Albert Camus

Chi ha visto e ascoltato un’altra mia narrazione, il Kohlhaas tratto da Kleist, potrà meglio comprendere le ragioni di questo Corpo di Stato e il filo che li lega, poiché il tessuto è lo stesso: il rapporto conflittuale tra esigenza di rivolta contro l’ingiustizia e assunzione del ruolo di giustiziere.
Ma questa volta non siamo nella Germani del 1500, ma nel nostro passato prossimo, solo vent’anni fa. È sempre difficile raccontare qualcosa che ci è tanto vicino, specie se quel qualcosa ha inciso profondamente sulle nostre esistenze e sulle nostre scelte.
La materia è ancora così pulsante e non dipanata dalla lontananza, che si rischia allora di leggerla col senno di poi, filtrandola e mettendola a distanza di sicurezza.
Ho cercato allora di ritornare laggiù, in prima persona, ricordandomi di me in quei giorni, trovando nelle mie esperienze di allora quelle “piccole storie” che sole possono tentare di illuminare la Storia più grande. Ho ripercorso momenti dolorosi senza perdere però le atmosfere di quegli anni, gli entusiasmi, i paesaggi metropolitani, le contraddizioni.
Nei 55 giorni della prigionia di Moro ho raccontato di una lacerazione, di come il tema della violenza rivoluzionaria abbia dovuto fare i conti con un corpo prigioniero, e come questa immagine sia divenuta via via spartiacque per scelte fino ad allora rimandate, abbia fatto nascere domande e conflitti interiori non più risolvibili con slogan o con pratiche ideologiche.
Ho raccontato le mie storie, prima ancora che su un palco teatrale, davanti a una telecamera; l’emozione della diretta televisiva è cosa diversa dall’eccitazione inquieta con cui ogni volta entro in scena a narrare.
Ora torno sulle tavole di legno a me care, non devo più cercare l’occhio di una telecamera, ma gli occhi di spettatori in carne e ossa; non sarò né personaggio né narratore esterno, questa volta, ma io stesso narrante, un’esperienza nuova, una messa in gioco del personale, una dichiarata visione soggettiva di quegli anni.
Amici, compagni, avversari, potranno avere i giusti motivi per non essere d’accordo o per trovare identità, per quelli che non c’erano, i giovani d’oggi, sarà come visitare un mondo che appare tanto lontano, quasi incredibile; spero che per tutti, come è già accaduto dopo la trasmissione televisiva, scatterà il desiderio di parlare, di contraddire con altri racconti: è un modo di uscire allo scoperto, di raccontarsi agli altri, di rievocare quei tempi difficili e densi.
Quando si esce da momenti e tempi in cui la vita è stata pregna di avvenimenti, quando il vivere è sembrato intenso anche nel dramma, dopo, col tempo, ci si sente sempre un po’ stranieri, come reduci, testimoni di eventi troppo densi per essere dipanati. Camus dice “Non essere ascoltati: è questo il terribile quando si è vecchi”. Il narratore compie sempre questa sfida, straniero nel tempo cerca di vincere con il racconto la vecchiezza che stende sulle cose del mondo un manto spesso di oblio.


20 ANNI DOPO: IL SENSO DI UNA RIPRESA

maggio 2018

In una recente intervista il figlio di Aldo Moro, Giovanni, insisteva a parlare del padre come di un fantasma senza requie e riposo, a cui è stata negata la verità della sua morte. Sono trascorsi quaranta anni da quella morte.
Venti anni fa avevo cercato di parlarne attraverso uno spettacolo unico nel suo genere, Corpo di stato, in cui ero in scena in prima persona, raccontando con la massima sincerità possibile, cosa erano stati per me e per quelli intorno a me i cinquantacinque giorni di prigionia di Moro, a Roma.
Ho deciso di riproporre lo spettacolo in questa occasione speciale, anche se mi costa molto rinnovare la memoria di quei giorni, degli amici e compagni che non ci sono più, di quello che non capimmo allora, di quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto.
È uno spettacolo necessario credo per chi lo ascolta, ma doloroso per me che rivivo quegli anni, con la spietata forza che ha il teatro di costringere il passato a rinnovarsi.
Riporto in scena “Corpo di stato” perché i fantasmi devono poter avere pace. Non possono essere semplicemente dimenticati. Finché non si scoprirà chi ha ucciso il re Laio, la città di Tebe resterà appestata. Una peste morale, più terribile di quella fisica. Insieme ad Aldo Moro molti sono i fantasmi a cui questo paese non è riuscito a dare vera sepoltura, dai morti della banca dell’Agricoltura, a quelli della stazione di Bologna, a quelli di Ustica e molti altri ancora.
Per questo siamo ancora un paese appestato. E per questo occorre continuare a dare voce e respiro al nostro passato prossimo. Con sofferenza, ma non posso che tornare a parlarne.

Marco Baliani


NOTE DI REGIA

Lavoro da 25 anni con Marco Baliani, a volte come drammaturga, a volte come attrice, in questo caso come regista.
Nella nostra idea di teatro c’è una stretta relazione tra i vari elementi che compongono e determinano la creazione teatrale.
Si delinea un’ipotesi drammaturgica, spesso preceduta da una ricerca letteraria, tematica; in forma di canvaccio, di domande che il regista pone, di improvvisazioni, questo materiale viene passato all’attore, lievita, ritorna, nello scambio continuo sviluppa strade possibili. Comincia così a disegnarsi una possibile “mappa”, così la chiama Marco, fatta di crocicchi, luoghi da visitare, territori ancora da esplorare e soprattutto strade diverse tutte possibili per raggiungere luoghi individuati.
Lo spettacolo che ne scaturisce è una delle possibili strade individuate per percorrere luoghi tematici che si vogliono visitare.
Nel caso di Corpo di Stato, questo lavoro già complesso è stato caratterizzato da una particolarità: stavamo creando uno spettacolo teatrale, che però avrebbe visto il suo debutto in una diretta televisiva. Rai Due l’avrebbe mandato in onda dai Fori Imperiali di Roma la sera del 9 maggio 1998.
Definire teatralmente il racconto per poi immediatamente tradurlo, perché potesse avere un’efficacia attraverso un altro “mezzo”, tenendo conto dei tempi, dei ritmi, della sintesi, nonché dei vincoli tecnici imprescindibili in una comunicazione televisiva.
Quando in autunno, dopo il successo televisivo, abbiamo ripreso il lavoro per portarlo finalmente in teatro, la prima sensazione è stata quella di sentirmi padrona del tempo. Mi sono sentita accolta dal respiro più ampio che ha il tempo in teatro, e nella struttura già configurata si sono aperti spazi di approfondimento, il disegno drammaturgico si è ridefinito. Questione di secondi, a volte, o di minuti, indugiare su una domanda di non facile risposta, il poter ritornare su certi concetti condividendo con lo spettatore quel tempo.
È andata via una parte di testo, che se necessario pensando al grande pubblico della diretta, non lo è più in teatro, dove fra il narratore e il pubblico c’è una maggiore affinità, una relazione più “intima” e condivisa.
Dal lavoro televisivo sono rimaste delle indicazioni preziose. Nella trasmissione c’erano degli stacchi di quindici secondi, un montaggio di immagini di quegli anni su un sonoro tratto da telegiornali, comunicati radio di quei giorni, frammenti di musica di quegli anni. Immagini non didascaliche che avevano più che altro la funzione di attivare una “memoria emotiva” in chi allora non c’era.
Nello spettacolo teatrale le immagini sono rimaste, come un contrappunto visivo e sonoro alla parola del narratore, si è modificata la loro durata, la dimensione, il ritmo.
Il grande schermo di fondo è anche un po’ “la grande Storia” da cui il narratore entra ed esce.
Dirigere un narratore in un racconto è cosa diversa che dirigere un attore in un monologo.
Un vero narratore, quando è tale, ha un modo d’essere sulla scena che appare del tutto organico, come se tempi, ritmi e gesti appartenessero a un “sapere” dove le tecniche affabulatorie sono state interiorizzate a punto di divenire “naturale” veicolo di quell’espressione.
Allora la funzione del regista in quella parte che riguarda la direzione dell’attore, è qualcosa che assomiglia a far volare un aquilone: bisogna corrergli dietro, stare insieme a lui col vento per farlo volare più alto, tenere un filo sottile che possa richiamarlo a terra se necessario, per evitare che si impigli o si perda.

Maria Maglietta

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TRINCEA https://www.marcobaliani.it/trincea/ https://www.marcobaliani.it/trincea/#respond Fri, 23 Mar 2018 15:37:15 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=133 TRINCEA_locandina-e1458551439580 copia

scritto e interpretato da Marco Baliani

regia Maria Maglietta

scene e luci Lucio Diana

musica e immagini Mirto Baliani

visual design David Loom

produzione MARCHE TEATRO

in coproduzione con Festival delle Colline Torinesi

Si ringrazia Luigi Ceccarelli

 

Sono trascorsi cento anni dal primo conflitto mondiale. Ci saranno celebrazioni, pubblicazioni, conferenze, riflessioni, e altro ancora.

Io vorrei provare a toccare un piccolo punto di quell’immensa catastrofe, un solo corpo, quello di un qualsiasi soldato, anonimo, non appartenente a una precisa nazionalità, e toccare quel corpo nel luogo più emblematico di quella guerra, la trincea.

Vorrei tentare di essere laggiù, in quel punto di una trincea di molti anni fa, ed esserci prima di tutto fisicamente, come corpo, in una forma di mimesi totale, in modo da essere così immerso nella dimensione dell’orrore e della sua gratuità da percepire almeno per un istante “il tipo di esistenza” di quel soldato.

Per il soldato in trincea il tempo si assolutizza in un puro denso presente, un tempo inceppato nella minuta quotidianità della sopravvivenza, fatto di gesti folli divenuti normali, di azioni compiute per inerzia, senza speranza di cambiamenti. La percezione del tempo impedisce alla parola di farsi discorso, essa gira in un flusso vegetativo o semidormiente, si etilizza, ubriaca di terrore o di fame o comunque di mancanze. La narrazione non può più espletarsi in un flusso temporale continuo lineare e accertato da un inizio e una fine, ma viene spezzata, impossibilitata a compiersi, gli improvvisi vuoti dell’anima non sono più ricomponibili né colmabili in parole, il vivere diviene un inarrestabile fluire di frammenti, come frammentato appare il Tempo per chi in ogni istante è sottoposto alla casualità di un morire inutile e atroce.

L’individuo perde la coscienza della propria individualità, il singolo soldato diviene ingranaggio di una immensa fabbrica produttrice di morte. È un pezzo di ricambio, un pezzo di artiglieria fatto di carne umana. La prima guerra mondiale sperimenta su larga scala una forma di totale assoggettamento dell’uomo, la sua riduzione ad automa, fantoccio, cosa.
È da qui, da quel momento storico che si inaugura in occidente la possibilità di un controllo biopolitico del corpo umano, in forma industriale, di massa. Aprendo la strada ai tanti totalitarismi del terrore del nostro Novecento.

Marco Baliani


NOTE DI REGIA

La scena è una grande pagina bianca, uno spazio sospeso, un luogo che attende di vivere. È anche una delle “gabbie” di Francis Bacon, artista a cui ci siamo ispirati nell’ideazione dello spettacolo.

La gabbia permette di isolare uno spazio tempo astratto in cui poter “dissezionare” le presenze umane che la agiscono. In questo spazio il corpo di un soldato inizia a muoversi e allora, come grattando nella scorza del tempo, riaffiorano schegge di vita, luoghi, azioni, sempre in una forma materica, concreta. Il soldato è un corpo narrante, tragico baluardo di un disperato istinto di sopravvivenza, e non racconta di un solo uomo, ma ci restituisce i diversi istanti di vita di uomini “comuni” nelle condizioni disumane della prima guerra mondiale.

Le immagini si susseguono a volte sollecitate da un suono, a volte create dalle parole, altre volte ancora guidano il corpo del soldato o ne sono guidate, in una tessitura di linguaggi l’un l’altro compenetranti, senza mai cedere a una descrizione illustrativa. I tanti corpi che appaiono e si dissolvono nello spazio ci restituiscono la frammentarietà dell’esistenza umana in trincea, lo spaesamento, la solitudine, la perdita di individualità.

Non c’è una storia, non c’è un unico racconto, ci sono squarci di esistenze che la “gabbia” rende precarie, in bilico, sempre in procinto di perdersi e annullarsi. In quella terra di nessuno il soldato scopre che il proprio sentirsi ancora un essere umano non serve più, anzi diviene drammaticamente un limite, un peso. La gigantesca macchina industriale della guerra ha scardinato i valori che fino allora avevano governato la vita degli esseri umani.

Maria Maglietta


NOTE DI MIRTO BALIANI         NOTE DI LUCIO DIANA       NOTE DI DAVID LOOM


 

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LECTIO MAGISTRALIS https://www.marcobaliani.it/ditemi-prima-i-vostri-nomi/ https://www.marcobaliani.it/ditemi-prima-i-vostri-nomi/#respond Thu, 22 Mar 2018 22:50:56 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=2371 lunedì 16 aprile, ore 11
Salone Marescotti, Via Barberia 4, Università di Bologna

 

Marco Baliani

“DITEMI PRIMA I VOSTRI NOMI”
Il teatro dei corpi narranti di Marco Baliani

 

Presenta Cristina Valenti | ingresso libero

Marco Baliani è stato l’ideatore del Premio Scenario, che ha fondato nel 1987 con un piccolo gruppo di compagnie e centri teatrali, nella convinzione «che esiste sempre un fermento giovanile, basta saperlo stanare, che sempre esiste una forza propositiva, diversa di generazione in generazione, capace di esprimere e interpretare la propria contemporaneità».
«Proverò a tracciare il percorso creativo che solitamente metto in opera quando inizio a lavorare con un gruppo, siano essi attori o no. E cercherò di rendere il più vividamente possibile gli accadimenti, gli incidenti, le fatiche e le gioie, insomma il dipanarsi di quell’altra vita che è la messa in scena. Attraverso racconti. Penso sia l’unico modo di avvicinarsi il più possibile ai tanti misteri dell’atto teatrale. So però che tutta la materia oscura di quel peregrinare e cercare e creare, non potrò esplicitarla, le parole non bastano e si esauriscono. Dovrebbero restare solo i corpi, anch’essi però imprendibili, così presenti e vivi, che i miei racconti riusciranno solo fantasmaticamente ad evocare» (Marco Baliani).

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FROLLO https://www.marcobaliani.it/frollo/ https://www.marcobaliani.it/frollo/#respond Thu, 22 Mar 2018 04:55:43 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=2427  

con Marco Baliani

di Marco Baliani e Mario Bianchi

produzione Trickster Teatro Bricconidivini

 

Lo spettacolo è stato anche trasmesso in diretta radiofonica su Radio3 Suite il 14 maggio 1999

(Ph. Ilaria Scarpa_Luca Telleschi)



Frollo è il nome del protagonista della storia: un bambino impastato di pan pepato che un giorno si trova a percorrere un’avventura più grande di lui. Il terribile vorace figlio del Re sta mangiando a pezzetti tutto il paese. Lo si potrà fermare solo andando alla ricerca di una sostanza magica che può placare la sua fame. Frollo parte e le avventure cominciano.
La storia, oltre che attraversare i luoghi mitici della antropofagia fiabesca, quelle esperienze che hanno a che fare col cibo, col magiare ed essere mangiati, con la fame e con l’insaziabilità, è anche una metafora della nostra società dei consumi pronta a divorare ogni cosa. Naturalmente c’è anche un po’ di Pinocchio in questo Frollo che alla fine si sbriciola per rinascere bambino, e c’è anche un po’ di tutti noi nel bambino che si incammina per la sua strada, andando dritto, girando a destra, girando a sinistra, rivolgendosi chissà dove…


APPUNTI DI PERCORSO

Sento che ogni raccontatore di storie è un “protrattore di infanzia”, con occhi bambini dentro un corpo adulto. Da qualche anno ho la sensazione paurosa che il mondo tutto intorno vada appiattendosi e che a contare resti solo una realtà uniformata, totalizzante, sempre visibile e nominabile. Che il teatro non sia un posto dove sperimentare il luogo dell’altrove, luogo instabile, non assoggettabile alle regole del mondo reale e dove anime molto potenti hanno il diritto di muoversi e agire senza gabbie e senza censure. Così ho iniziato a raccontare storie come necessario tentativo di “protrazione infantile” e come “antidoto all’alito della morte”. Si racconta perché le cose continuino ad essere, nella loro unicità, nuove ad ogni sguardo.
Frollo è nato in una sera di novembre. Ero con Mario Bianchi e ci siamo messi per gioco ad inventare una storia. Ha cominciato lui con la scrittura, e ho concluso io con il racconto orale. Nella mia ricerca di una drammaturgia del racconto, ogni tanto sento il bisogno di tornare alle radici estreme dell’accadimento teatrale, la pura narrazione, per ritrovare un piacere infantile, ludico, che mi permetta di volare narrando.
Marco Baliani


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IDENTITÀ https://www.marcobaliani.it/identita/ https://www.marcobaliani.it/identita/#respond Sun, 03 Jul 2016 09:43:59 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=753 Identita_LOCA

 

 

di e con Marco Baliani e Maria Maglietta

aiuto regia Barbara Roganti

disegno luci Emiliano Curà

fonica e luci Dario Alberici

consulenza musicale Mirto Baliani

consulenza scientifica Enrico Febbo

produzione Casa degli Alfieri

si ringrazia il Teatro delle Briciole per il sostegno al progetto

 

 

 

La parola Identità ci viene incontro in ogni momento della nostra vita sociale, oggi, più ancora di quanto non accadesse anni fa. È come una parola puntaspilli dove vanno a infilarsi e a convergere una pluralità di temi, di sostanze, ma anche di racconti.
Nello spettacolo torna spesso una domanda “chi sei tu?”, che rimanda subito a una domanda complementare “chi sono io?”, l’identità di ciascuno si definisce a partire dalla relazione con l’altro, per questo è una parola densa di conflitti e contraddizioni, per definirla serve sempre un’alterità, qualcuno o qualcosa con cui confrontarsi e da cui differenziarsi.

Nei secoli ma anche in tempi a noi prossimi, esaltando la parola Identità abbiamo visto compiersi massacri, negandola abbiamo visto compiersi stermini.
Identità religiosa, identità etnica, identità sessuale, identità nazionale, identità genetica, identità biologica, l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Dalla modernità in poi, questa parola è stata esaltata o negata, piegandosi ad essere di volta in volta una classificazione burocratica, una schedatura poliziesca, un valore per cui lottare, una richiesta di riconoscimento, una affermazione religiosa, etnica, ideologica.

Lo spettacolo tenta di toccare qualcuno di questi “territori”, come può fare il teatro, mettendo in scena conflitti, facendo domande, senza dare soluzioni univoche, riflettendo su come la parola Identità si presti ad essere relativizzata e modificata a seconda dei contesti.
A fare da filo conduttore dello spettacolo è un uomo che percorre la strada di una città, per andare a denunciare lo smarrimento della sua carta d’identità.
Durante il tragitto avvengono incontri che innescano pensieri, digressioni, metafore e racconti. Un flusso monologante che ruota continuamente intorno alla parola chiave Identità. Ogni tanto, il flusso è interrotto da improvvisi blitz narrativi, che avvengono con registri linguistici diversi, aprendo nuovi sentieri di esplorazione del medesimo tema identitario.
Infine, a spostare ulteriormente le coordinate, un dialogo surreale e poetico che compendia in altro modo i temi trattati.
Lo spettatore è portato, dunque, a compiere un suo viaggio interiore intorno alle difficili declinazioni della parola Identità.

A farci da stimolo sono state le riflessioni contenute in un breve saggio del romanziere Amin Maalouf, intitolato “L’identità”, le argomentazioni condotte dal viaggiatore Ryszard Kapuscinski nel libro “Io e l’altro” le tematiche racchiuse ne “La conquista dell’America” del saggista Tzvetan Todorov e i pensieri della filosofa Adriana Cavarero in “Tu che mi guardi, tu che mi racconti”. Al termine del nostro viaggio ci siamo resi conto che Identità è parola oceanica, e che ne abbiamo esplorato solo un ristretto golfo.
Nel grande mare nuota ancora, da noi inesplorata, l’identità dei super eroi, l’identità del figlio di Hermes e di Afrodite, l’identità di second life o di Facebook, l’identità dei volti rifatti, del cambio di genere, degli identikit, delle identificazioni dopo un incidente, e altro, molto altro ancora.

Non siamo riusciti a tenere tutto dentro un unico spettacolo, per questo ci stiamo preparando per il sequel.

Marco Baliani, Maria Maglietta

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TERRA PROMESSA. BRIGANTI E MIGRANTI https://www.marcobaliani.it/terra-promessa-briganti-e-migranti/ https://www.marcobaliani.it/terra-promessa-briganti-e-migranti/#respond Thu, 30 Jun 2016 17:29:47 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=919

Terra promessa Briganti e Migranti

 

 

di Marco Baliani, Felice Cappa e Maria Maglietta

con Marco Baliani

con la partecipazione in video di Salvo Arena, Aldo Ottobrino, Naike Anna Silipo, Michele Sinisi

regia Felice Cappa

drammaturgia Maria Maglietta

musiche Mirto Baliani

impianto scenico Valentina Tescari

assistente scenico Virginia Forlani

video design Matteo Massocco

fotografia Valeria Palermo

riprese Andrea Nobile, Stefano Stefanelli

direttore tecnico Amerigo Varesi

aiuto regia Anna Banfi

delegato di produzione Lidia Gavana

un progetto di Change Performing Arts

prodotto da CRT Artificio

 

 

 

Negli ossari dei camposanti dei paesi della regione del Vulture giacciono sparse le ossa calcinate dei brigati, morti combattendo o fucilati, insieme a quelle dei soldati che da loro vennero uccisi, ossa senza parole, evanescenze di quello sterminio dell’esistente che è la Storia.

Michele Saraceno

 Nella vicenda del bandito Carmine Crocco, si può leggere la storia emblematica di un’incomprensione, di una disfatta civile, d un’assenza di lungimiranza politica che ancora oggi incide pesantemente sulla storia del nostro Paese. Dall’entusiasmo popolare suscitato dalle promesse garibaldine, in pochi anni, la popolazione del meridione si trovò a combattere una disperata forma di rivolta contro l’ordinamento del nascente Stato italiano. Per migliaia di contadini, al termine di quei sanguinosi anni, restò, come scelta obbligata, divenire emigranti. È questo infatti il destino di otto milioni di contadini, uomini e donne del sud e del nord Italia che negli anni della nascita del nuovo Stato italiano sono costretti a lasciare il paese.

In scena Marco Baliani a ripercorrere gli eventi, a ricostruire le circostanze e a illuminare i luoghi che i protagonisti di quelle vicende hanno consegnato alla Storia. Ad accompagnare le parole del narratore in scena, compaiono, su schermi sovrapposti, come apparizioni fantasmatiche, altri personaggi, un contadino, una popolana, un barone e un soldato piemontese, evocati dal narratore stesso, a comporre un mosaico di racconti fatto di voci e punti di vista differenti.

Questa fermentazione narrativa vive all’interno di una specie di scatola luminosa, che racchiude il narratore e la sua storia in un caleidoscopio di immagini proiettate. Brevi squarci di vita, memorie di luoghi, riflessioni si amalgamano in uno spezzato affresco. Al centro si pone il conflitto del brigante contadino, la sua impossibile riconciliazione con il mondo.

La forma dell’evento teatrale è tutt’uno con questa impossibile pacificazione, con l’incapacità di ricondurre la vicende a un unico lineare racconto. Il succedersi e sovrapporsi di parole suoni e immagini mostrano un paese non ricomposto, una terra non riconciliata, dove ai perdenti non resta che divenire stranieri a sé stessi perdendosi nelle innumerevoli figure degli emigranti.


 

È vivissimo ancora oggi, negli echi sopiti e più reconditi della coscienza contadina, il ricordo della loro rivolta, una rivolta disumana, che parte dalla morte e non conosce che la morte, dove la ferocia nasce dalla disperazione, dove, senza illusioni, la civiltà contadina difendeva la propria natura contro quell’altra civiltà che le sta contro e che, senza comprenderla, eternamente l’assoggetta.

 Carlo Levi

1861-2011: l’Italia festeggia i 150 anni dell’Unità nazionale.

Nell’anno dedicato alle celebrazioni di quella che fu certamente la realizzazione di un sogno politico condiviso da uomini di stato, artisti e intellettuali, non si può però dimenticare che l’unificazione italiana fu un processo difficile e doloroso che lasciò sulla strada numerose vittime, uomini e donne che si opposero con forza a un progetto politico che non potevano condividere.

Di fronte a un’unità che si stava realizzando con le armi, non poteva che organizzarsi una resistenza armata, una resistenza che era destinata a passare alla storia con il nome di brigantaggio. Gli autori dello spettacolo, per la drammaturgia di Maria Maglietta, leggono nella vicenda del bandito Carmine Crocco la storia emblematica di un’incomprensione, di una disfatta civile, di un’assenza di lungimiranza politica che ancora oggi incide pesantemente sulla storia del nostro Paese.

Le vite dei briganti diventano dunque il filo rosso attraverso cui rileggere e indagare la storia di un Paese che, sul nascere, si nutrì dell’entusiasmo popolare suscitato dalle promesse garibaldine, ma che non riuscì poi a garantire diritti minimi per una vita dignitosa. In scena Marco Baliani, a ripercorrere gli eventi, a ricostruire le circostanze e a illuminare i luoghi che i protagonisti di quelle vicende hanno consegnato alla storia. Ad accompagnare le parole del narratore in scena, compaiono su due grandi schermi cinematografici altri personaggi.

Il succedersi e il sovrapporsi di parole e immagini è un’operazione di scavo nella storia dell’Italia, che scopre verità scomode e lascia sul campo resti di un paese non ricomposto, di una terra non riconciliata, dove ai perdenti di sempre non resta che l’ultima necessaria umiliazione: divenire stranieri a se stessi, perdendosi nelle innumerevoli figure di emigranti.

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