Vorrei che lo spettatore non percepisse solo un’opera ultimata ma il risultato provvisorio di un divenire che non termina, in precario equilibrio. Lo spettacolo è la naturale conclusione espressiva del percorso intrapreso. Carlo Sala ci ha aiutato a scenografare i corpi attorali, rubando dalle immagini accumulate, vestendo i volti e le espressioni.
Particolare cura sarà dedicata alla colonna sonora, fatta di suoni vocali storpiati, ingigantiti, depauperizzati, registrati dagli stessi attori.
Non è uno spettacolo “generazionale”, nessuna pretesa di trasformare queste giovinezze in esemplificazione sociologica di un’età, ma di certo la biologia c’entra e con quella domanda si scontra e si misura.
Ciò che ne esce è una mappa di declinazioni possibili di quella “maledetta” gioventù, ma relativizzata a questi corpi, memorie, vite, che hanno trascorso due anni e più della loro esistenza a cercare quotidianamente una loro arte della scena e ora mostrano fin dove sono arrivati e dove ancora potrebbero osare e stupire.
In fondo Che ci faccio qui? è una domanda fondamentale per un artista, quale che sia il linguaggio con cui ha deciso di comunicare le proprie pulsioni, visioni e poetiche.
Marco Baliani