Il costume è la pelle del personaggio, che la deve far propria, non semplicemente indossarla, ma viverla, impregnarla dei propri odori; personaggio e costume vanno incontrandosi poco per volta: è importante che ci sia tempo per conoscersi, per toccarsi più volte. L’attore deve fare del costume un suo personale corredo, di cui aver cura, a cui aggiungere elementi, oggetti, colori; l’incontro tra costume e personaggio è meglio che avvenga prima possibile, perché solo cercandolo in scena l’attore va indossando il proprio personaggio. Qui, in Gioventù senza Dio, occorreva che i costumi indicassero un tempo storico preciso, gli anni in cui Ödön von Horváth scriveva il suo racconto; ciò era necessario per permettere poi allo spettacolo di rompere la struttura spazio-temporale e per riportare quelle parole e quei corpi ad uno stato di contemporaneità. Sarebbe stato facile vestire tutti di abiti contemporanea e modernizzare la scena. Si tratta invece di attualizzare il testo, di renderlo attivo per noi oggi, i costumi hanno una funzione “brechtiana”, ricordano allo spettatore che siamo in teatro e che queste vicende così attuali sono state create sessanta anni fa. In quei tempi gli uomini vestivano così ma quel loro parlare e agire potrebbe anche oggi rivelarsi terribilmente possibile.
Maria Maglietta