… la parte dei miti, la cosmogonia, gli atti creativi che nominano le cose, così svelandole.
È il primo tema di fondo che emerge dalla lettura di Galeano: un rapporto intenso, animista, tra le cose e gli uomini. Questa materia profonda è per noi occidentali un segno cifrato, una memoria incisa che non ci appartiene, un riaffiorare in piena modernità di un rapporto “altro” con il mondo.
Nello spettacolo queste memorie devono restare quindi come cicatrici sul corpo e nella mente dei personaggi, come un affiorare inaspettato di improvvisi squarci di altre verità. Nello stesso tempo fare affiorare l’incapacità dell’occidente di “vedere” un’altra cultura, come già accadde al momento della conquista: il “Nuovo Mondo” era in realtà assai antico, ma nessuno lo vede, gli occhi sfrenati della cupidigia occidentale lo vedono nuovo, intatto, solo da stuprare…
… il secondo tema è la foga, la violenza lussuriosa dell’invasione occidentale, ripetizione dello “stupro” con cui si origina la nostra cultura.
Terra da sverginare con famelica possessione, sbavanti, a chi arriva prima, l’oro negli occhi, la disperazione del riscatto da condizione di perduti e perdenti, per cercare un nuovo nome, per rifarsi una vita.
Occorre riuscire a rendere in un’unica immagine come il massacro degli indios sia lo stesso della natura e degli oggetti d’arte che vengono fusi da Cortz e Pizzarro in lingotti d’oro.
L’unità di misura quantitativa della cultura occidentale è quel pezzo d’oro dove ancora palpitano segni, aure, presenze magnetiche di ciò che prima erano collane, monili, arte.
Una domanda attraversa lo spettacolo: quel pezzo d’oro fuso è silenzioso per sempre? Non parla più? La storia, fusa e liquefatta, annulla la memoria?
Quello della memoria è il conflitto palpitante dell’intero spettacolo, intorno a cui ruotano le singole storie dei personaggi femminili e la loro necessità di raccontare.
Lo spettacolo stesso inizia con una richiesta di memoria, come dono per un matrimonio. La vecchia, Maria de la Cruz, chiama le altre donne a raccontare ciò che ricordano della storia d’America e subito appaiono le due vie della memoria: una che si trasmette per vie di silenzio, di esperienza, di canti; è la via del sangue, dei geni che si insinuano nell’anima dei vinti per modificare quelle dei vincitori.
Loro, le donne, portatrici di memorie, sanno attendere, aspettare, non rinunciano come le madri di Plaza de Mayo a ricordare i nomi, le parole, i gesti.
L’altra via è quella dell’oblio, volontario o forzato; è la via del silenzio imposto, che annulla le parole di una lingua, che fa scomparire le culture e che nella sua vertigine di annientamento cancella non solo i corpi ma i nomi della gente.
… nel terzo libro di Galeano l’orrore ci tocca più da vicino: qui riconosciamo i nomi degli assassini e i genocidi si fanno più precisi, feroci. Non si tortura più solo per sapere i nomi eretici di altri dei, ma per sapere i nomi dei vicini, dei compagni, si compilano liste. Scompare la gente senza essere mai nata. Tutta la sporcizia del secolo dei conquistadores si riversa con la benedizione della Chiesa e il sigillo di comando degli Stati Uniti d’America negli infiniti eccidi che costellano i nostri anni recenti.
Dovremmo riuscire in una estrema sintesi a raccontare anche questa sporcizia e, al di là di questa, non solo la disperata volontà di resistere, ma anche la necessità gioiosa del vivere, il nome nuovo dato al paese, l’albero di Mayo, il canto di Violeta Parra, i corpi degli amanti sepolti, tutto il canto primordiale di una terra, questo deve ancora alla fine risuonare e lasciare un’eco nella memoria dello spettatore.
… ogni immagine o azione non deve parlare solo di se stessa, deve contenerne dentro un’altra e un’altra ancora, come un gioco a incastri: il passaggio da una visione a un’altra, che è sempre un compito della memoria narrante, dovrebbe avvenire nel modo più fluido possibile e i ricordi affiorare, come sempre avviene, per un odore, per una parola, per un’analogia improvvisa, come dice Galeano “attraverso le porte girevoli della memoria”.
Si deve tentare di restituire il fluire maestoso e intricato dell’opera di Galeano, attraverso un teatro epico che non perda però la necessità di informare, di ricordare che la storia è fatta anche di nomi date…
… è importante che i segni, gli oggetti, gli elementi della scena, siano anch’essi necessari, come le canzoni che verranno cantate, e possiedano un’”aura” luminosa: così pure deve avvenire dello spazio e delle luci, come a restituire un luogo della memoria palpitante, non artificiale…
… non siamo qui a raccontare una bella storia con forme di teatro notevoli. Siamo qui per necessità. Occorre che le attrici sentano questa urgenza, e questo può avvenire solo se ciascuna di loro possiede una sua storia, incisa sottopelle, potente, unica…
Marco Baliani