di Marco Baliani, Felice Cappa e Maria Maglietta
con Marco Baliani
con la partecipazione in video di Salvo Arena, Aldo Ottobrino, Naike Anna Silipo, Michele Sinisi
regia Felice Cappa
drammaturgia Maria Maglietta
musiche Mirto Baliani
impianto scenico Valentina Tescari
assistente scenico Virginia Forlani
video design Matteo Massocco
fotografia Valeria Palermo
riprese Andrea Nobile, Stefano Stefanelli
direttore tecnico Amerigo Varesi
aiuto regia Anna Banfi
delegato di produzione Lidia Gavana
un progetto di Change Performing Arts
prodotto da CRT Artificio
Negli ossari dei camposanti dei paesi della regione del Vulture giacciono sparse le ossa calcinate dei brigati, morti combattendo o fucilati, insieme a quelle dei soldati che da loro vennero uccisi, ossa senza parole, evanescenze di quello sterminio dell’esistente che è la Storia.
Michele Saraceno
Nella vicenda del bandito Carmine Crocco, si può leggere la storia emblematica di un’incomprensione, di una disfatta civile, d un’assenza di lungimiranza politica che ancora oggi incide pesantemente sulla storia del nostro Paese. Dall’entusiasmo popolare suscitato dalle promesse garibaldine, in pochi anni, la popolazione del meridione si trovò a combattere una disperata forma di rivolta contro l’ordinamento del nascente Stato italiano. Per migliaia di contadini, al termine di quei sanguinosi anni, restò, come scelta obbligata, divenire emigranti. È questo infatti il destino di otto milioni di contadini, uomini e donne del sud e del nord Italia che negli anni della nascita del nuovo Stato italiano sono costretti a lasciare il paese.
In scena Marco Baliani a ripercorrere gli eventi, a ricostruire le circostanze e a illuminare i luoghi che i protagonisti di quelle vicende hanno consegnato alla Storia. Ad accompagnare le parole del narratore in scena, compaiono, su schermi sovrapposti, come apparizioni fantasmatiche, altri personaggi, un contadino, una popolana, un barone e un soldato piemontese, evocati dal narratore stesso, a comporre un mosaico di racconti fatto di voci e punti di vista differenti.
Questa fermentazione narrativa vive all’interno di una specie di scatola luminosa, che racchiude il narratore e la sua storia in un caleidoscopio di immagini proiettate. Brevi squarci di vita, memorie di luoghi, riflessioni si amalgamano in uno spezzato affresco. Al centro si pone il conflitto del brigante contadino, la sua impossibile riconciliazione con il mondo.
La forma dell’evento teatrale è tutt’uno con questa impossibile pacificazione, con l’incapacità di ricondurre la vicende a un unico lineare racconto. Il succedersi e sovrapporsi di parole suoni e immagini mostrano un paese non ricomposto, una terra non riconciliata, dove ai perdenti non resta che divenire stranieri a sé stessi perdendosi nelle innumerevoli figure degli emigranti.
È vivissimo ancora oggi, negli echi sopiti e più reconditi della coscienza contadina, il ricordo della loro rivolta, una rivolta disumana, che parte dalla morte e non conosce che la morte, dove la ferocia nasce dalla disperazione, dove, senza illusioni, la civiltà contadina difendeva la propria natura contro quell’altra civiltà che le sta contro e che, senza comprenderla, eternamente l’assoggetta.
Carlo Levi
1861-2011: l’Italia festeggia i 150 anni dell’Unità nazionale.
Nell’anno dedicato alle celebrazioni di quella che fu certamente la realizzazione di un sogno politico condiviso da uomini di stato, artisti e intellettuali, non si può però dimenticare che l’unificazione italiana fu un processo difficile e doloroso che lasciò sulla strada numerose vittime, uomini e donne che si opposero con forza a un progetto politico che non potevano condividere.
Di fronte a un’unità che si stava realizzando con le armi, non poteva che organizzarsi una resistenza armata, una resistenza che era destinata a passare alla storia con il nome di brigantaggio. Gli autori dello spettacolo, per la drammaturgia di Maria Maglietta, leggono nella vicenda del bandito Carmine Crocco la storia emblematica di un’incomprensione, di una disfatta civile, di un’assenza di lungimiranza politica che ancora oggi incide pesantemente sulla storia del nostro Paese.
Le vite dei briganti diventano dunque il filo rosso attraverso cui rileggere e indagare la storia di un Paese che, sul nascere, si nutrì dell’entusiasmo popolare suscitato dalle promesse garibaldine, ma che non riuscì poi a garantire diritti minimi per una vita dignitosa. In scena Marco Baliani, a ripercorrere gli eventi, a ricostruire le circostanze e a illuminare i luoghi che i protagonisti di quelle vicende hanno consegnato alla storia. Ad accompagnare le parole del narratore in scena, compaiono su due grandi schermi cinematografici altri personaggi.
Il succedersi e il sovrapporsi di parole e immagini è un’operazione di scavo nella storia dell’Italia, che scopre verità scomode e lascia sul campo resti di un paese non ricomposto, di una terra non riconciliata, dove ai perdenti di sempre non resta che l’ultima necessaria umiliazione: divenire stranieri a se stessi, perdendosi nelle innumerevoli figure di emigranti.